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Il Ponte Coperto di Pavia e la leggenda del “Ponte del Diavolo”

Il cuore oscuro del Ponte Coperto: nebbia, patti e la cappella che veglia sul Ticino

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La nebbia si alza dal Ticino e avvolge le arcate: il Ponte Coperto diventa lo scenario ideale per racconti che mescolano passato e inquietudine. Dietro l’aspetto che oggi riconosciamo — una riproduzione fedele del ponte medievale, ricostruito dopo la guerra, si cela una delle storie più radicate nella tradizione pavese: la narrazione conosciuta come il “Ponte del Diavolo”.

Una leggenda antica, declinata in tante versioni

Secondo una delle versioni più diffuse, la vicenda affonda le radici in un tempo lontano: si narra che, intorno all’anno 999, dopo il crollo di un vecchio guado romano, la popolazione si trovò improvvisamente senza un passaggio sicuro sul Ticino. Si racconta che un gruppo di pellegrini, intenzionato a raggiungere la messa di mezzanotte, dovette fare i conti con la corrente e con l’assenza di un ponte. Da qui partirebbe la storia di un capomastro  o forse di più artigiani  che, incapace di ultimare l’opera, accettò l’aiuto di una presenza oscura per completare la struttura nelle notti di nebbia. In cambio, come nelle migliori fiabe popolari, la creatura pretese un tributo che la gente preferisce raccontare a bassa voce.

Le varianti sono numerose: in alcune il patto è esplicito e il prezzo pagato è tragico; in altre la mano che aiuta è ambigua, quasi uno scherzo crudele lasciando sul ponte un segno che nessuno riesce a decifrare. Quel che resta immutato, comunque, è l’immagine del ponte di notte come luogo dove il confine tra il naturale e l’irrazionale diventa labile.

Il contrappunto della fede: la cappella sul pilone

A equilibrare questo miscuglio di sacro e profano c’è un elemento concreto: sul pilone centrale del ponte sorge e per secoli è sopravvissuta  una piccola cappella dedicata a San Giovanni Nepomuceno, protettore dalle inondazioni e guardiano dei passaggi d’acqua. La cappella, ricostruita e restaurata più volte (anche dopo i danni subiti nella Seconda guerra mondiale), è il segno visibile di una comunità che ha provato a mettere una sorta di ordine là dove fiorivano timori e racconti popolari.

Perché la leggenda continua a vivere

Le leggende sopravvivono perché parlano della vita quotidiana: il ponte è un luogo di passaggi di chi va al lavoro, di chi si concede una passeggiata, di chi arriva in città e la sua struttura (le arcate, il tetto, il corridoio che si crea sotto la copertura) amplifica suoni, ombre e silenzi. Ogni generazione aggiunge una nuova sfumatura; ogni anziano che narra la storia al caffè del Borgo aggiunge un particolare che può trasformare i fatti in mito. Allo stesso tempo, la vicenda del Ponte Coperto poggia su elementi reali: il manufatto medievale, la distruzione bellica e la riedificazione nel dopoguerra (1949–1951) hanno fornito alla leggenda il palcoscenico perfetto per restare viva.